Assolutamente false le dichiarazioni che stanno circolando sui media circa una responsabilità del Pride relativamente al fallimento del Parthenope Village, il villaggio estivo sul lungomare che ha prematuramente chiuso i battenti in seguito a ritardi e inadempienze della PJevents, società che aveva vinto l’appalto.
Leggiamo infatti, su alcuni media, che la PJevents sostiene che la cancellazione del Parthenope Village sia la conseguenza di un eccessivo impegno artistico e organizzativo profuso per la concreta realizzazione del Party del Pride, lo scorso 11 luglio.
Urge, allora, precisare come si è strutturata l’organizzazione del Party del Pride che, a prescindere da tutto, è stato l’unico evento in grado di portare un numero considerevole di persone nella zona del lungomare in cui era stato allestito l’atteso Parthenope Village.
Vorremmo, infatti, capire a quale impegno artistico e organizzativo fanno riferimento i responsabili della PJevents, dal momento che il palco è stato fornito dal Comune di Napoli, le perizie tecniche necessarie all’uso del medesimo sono state stilate da professionisti legati ad Arcigay, la pubblicità e la promozione dell’evento è stata fatta dalle associazioni lgbt coinvolte nella realizzazione del Pride e inoltre i dj, i vocalist, le drag queen e l’animazione sono stati tutti chiamati e forniti da Arcigay.
Anzi Arcigay Napoli si è caricato anche l’onere del catering, poiché la stessa PJevnts è venuta meno agli accordi precedentemente stretti con le associazioni lgbt, infatti secondo gli accordi presi con la PJevents, quest’ultima avrebbe dovuto curare il catering della serata, in partnership con alcuni bar della zona di chiaia e alcuni sponsor, riconoscendo alle associazioni coinvolte nel Pride una quota di sponsorizzazione necessaria a coprire i costi vivi della manifestazione.
Nonostante la serata dell’11 luglio sia stata un evidente successo e nonostante la realizzazione di un Party gratuito aperto a tutta la cittadinanza sia stato un grande risultato, dal punto di vista civile, mediatico e sociale, quelli davvero danneggiati dalla PJevents sono le associazioni lgbt che hanno operato facendo affidamento su una sponsorizzazione che è stata ritirata all’ultimo momento, quando era assolutamente impossibile trovare altre soluzioni che non compromettessero la realizzazione del Party e non gravassero ulteriormente sulla realizzazione della manifestazione.
Inoltre, ci urge anche ricordare che lo stesso Diego Di Flora, direttore artistico del Pathenope Village, in risposta all’articolo “Villaggio flop, la società: colpa del Gay Pride” pubblicato da Il Mattino in data 25 luglio, ha rilasciato una dichiarazione in cui nega ci siano delle concrete connessioni tra il Pride Party dell’11 luglio e le inadempienze organizzative del villaggio estivo sul lungomare.
Infine, una precisazione che è necessario fare, riguarda i rapporti tra il Pride e il Pride Party: il Pride, nella sua chiara e manifesta rilevanza politica, termina con i discorsi a fine corteo, discorsi importanti come quelli del Sindaco di Napoli, dei rappresentanti dell’amministrazione comunale e regionale e dei consoli di grandi paesi occidentali come Stai Uniti e Francia; il Party, invece, è organizzato per offrire uno spazio ricreativo alla comunità che ha partecipato alla manifestazione ed è funzionale anche a ricavare un supporto economico per le spese di gestione del corteo. Quest’anno, grazie alla grande disponibilità del Comune di Napoli e all’iniziale patto stretto con la PJevents, siamo riusciti nell’apprezzabile e democratica impresa di garantire un party gratuito alla cittadinanza e, nonostante la PJevents abbia negato la sponsorizzazione all’ultimo minuto, il party è rimasto gratuito a riprova della serietà e della professionalità di tutti i volontari e gli operatori delle associazioni lgbt.
Insomma, addebitare al Pride il fallimento del Parthenope Village è davvero una menzogna priva di qualsiasi fondamento e una società seria come la PJevents non può certamente venir meno alle proprie responsabilità, attribuendo ad altri mancanze ed errori che hanno condotto al fallimento di un progetto tanto importante per Napoli e per la sua immagine turistica e culturale.
Assolutamente scorrette e ingenerose le dichiarazioni che stanno circolando sui media circa una responsabilità del Pride relativamente al fallimento del Parthenope Village, il villaggio estivo sul lungomare che ha prematuramente chiuso i battenti in seguito a ritardi e inadempienze della PJevents, società che aveva vinto l’appalto.
Leggiamo infatti, su alcuni media, che gli organizzatori del Parthenope Village sostengono che la cancellazione del sudetto village sia la conseguenza di un eccessivo impegno artistico e organizzativo profuso per la concreta realizzazione del Party del Pride, lo scorso 11 luglio.
Urge, allora, precisare come si è strutturata l’organizzazione del Party del Pride che, a prescindere da tutto, è stato l’unico evento in grado di portare un numero considerevole di persone nella zona del lungomare in cui era stato allestito l’atteso Parthenope Village.
Vorremmo, infatti, capire a quale impegno artistico e organizzativo fanno riferimento i responsabili della PJevents, dal momento che il palco è stato fornito dal Comune di Napoli, le perizie tecniche necessarie all’uso del medesimo sono state stilate da professionisti legati ad Arcigay, la pubblicità e la promozione dell’evento è stata fatta dalle associazioni lgbt coinvolte nella realizzazione del Pride e inoltre i dj, i vocalist, le drag queen, gli artisti, gli ospiti e l’animazione sono stati tutti chiamati e forniti da gruppi di aggregazione lgbt vicini ad Arcigay.
Anzi gli organizzatori del Pride si sono caricati anche l’onere di ricercare un catering che potesse garantire un minimo di servizi alla serata, poiché la stessa PJevnts è venuta meno agli accordi precedentemente stretti con le associazioni lgbt, infatti secondo gli accordi presi con la PJevents, quest’ultima avrebbe dovuto curare il catering della serata, in partnership con alcuni bar della zona di chiaia e alcuni sponsor, riconoscendo alle associazioni coinvolte nel Pride una quota di sponsorizzazione necessaria a coprire i costi vivi della manifestazione.
Nonostante la serata dell’11 luglio sia stata un evidente successo e nonostante la realizzazione di un Party gratuito aperto a tutta la cittadinanza sia stato un grande risultato, dal punto di vista civile, mediatico e sociale, quelli davvero danneggiati dalla PJevents, insime ovviamente al danno d'immagine recato alla città e all'amministrazione, sono le associazioni lgbt che hanno operato facendo affidamento su una sponsorizzazione che è stata ritirata all’ultimo momento (a meno di 48h dal Pride), quando era assolutamente impossibile trovare altre soluzioni che non compromettessero la realizzazione del Party e non gravassero ulteriormente sulla realizzazione della manifestazione.
Inoltre, ci urge anche ricordare che lo stesso Diego Di Flora, direttore artistico del Pathenope Village, in risposta all’articolo “Villaggio flop, la società: colpa del Gay Pride” pubblicato da Il Mattino in data 25 luglio, ha rilasciato una dichiarazione in cui nega ci siano delle concrete connessioni tra il Pride Party dell’11 luglio e le inadempienze organizzative del villaggio estivo sul lungomare.
Infine, una precisazione che è necessario fare, riguarda i rapporti tra il Pride e il Pride Party: il Pride, nella sua chiara e manifesta rilevanza politica e sociale, termina con i discorsi a fine corteo, discorsi importanti come quelli del Sindaco di Napoli, dei rappresentanti dell’amministrazione comunale e regionale e dei consoli di grandi paesi occidentali come Stati Uniti e Francia; il Party, invece, è organizzato, in luoghi e tempi distanti dal corteo, per offrire uno spazio ricreativo alla comunità che ha partecipato alla manifestazione ed è funzionale anche a ricavare un supporto per la gestione degli eventi Pride e del corteo stesso.
Quest’anno, grazie alla grande disponibilità del Comune di Napoli e all’iniziale patto stretto e poi disatteso con la PJevents, siamo riusciti nell’apprezzabile e democratica impresa di garantire un party gratuito alla cittadinanza e, nonostante la PJevents abbia negato la sponsorizzazione all’ultimo minuto, il party è rimasto gratuito a riprova della serietà e della professionalità di tutti i volontari e gli operatori delle associazioni lgbt.
Insomma, addebitare al Pride il fallimento del Parthenope Village è davvero una menzogna priva di qualsiasi fondamento e una società seria come la PJevents non può certamente venir meno alle proprie responsabilità, attribuendo ad altri mancanze ed errori che hanno condotto al fallimento di un progetto tanto importante per Napoli e per la sua immagine turistica e culturale.
Ing. Antonello Sannino
Portavoce Mediterranean Pride of Naples 2015
mobile: +393922468663
Prof. Claudio Finelli
Presidente Coordinamento Arcigay Campania
mobile: +393494784545