Non compiacete il bullo, 16enne aggredito perché gay

E' successo a Bari, ma poteva accadere ovunque. Un gruppo di sedicenni da fastidio ad un coetaneo perché effeminato e perché più volte aveva mostrato interesse per un ragazzo suo vicino di casa. E' successo davanti a decine di persone. Ma non nei vicoli della città vecchia, in una periferia buia, sul lungomare di notte. E' successo su un pullman di linea, in pieno giorno. Ed è davvero incredibile che nessun passeggero e neppure il conducente abbia levato un grido, chiamato la polizia da uno dei cellulari che ormai abbiamo tutti, o anche semplicemente tirato uno scapaccione all'aggressore. Sarebbe bastato un pò di coraggio ma almeno un moto dell'animo, un riflesso condizionato, un istinto.
Ma l'istinto prevalente è stato quello di girarsi dall'altra parte. Credo, come molti, che il bullismo sia sempre esistito, e l'unica novità sia la parola per dirlo. Il confine tra il bullismo e il reato, tra la goliardia e la
mascalzonata, tra il nonnismo e la persecuzione è sempre stato sottile. Un tempo però non c'erano i videofonini e YouTube, non c'erano i mezzi per diffondere la malefatta e glorificare il malfattore. E non credo ci fosse neppure l'indifferenza ai limiti del consenso che lo circonda. In una serata estiva ho visto uno di questi bulletti, un più piccolo e meno pericoloso di quello di Bari, picchiare e gettare a terra due volte un bambino. Il bulletto aveva schiacciato una lucertola, e il piccolo aveva protestato: quella era la punizione. Anche le ragazzine, tranne una, ridevano della lucertola schiacciata e dell'anima fragile del bambino che ne era rimasto turbato, e nel ridere tentavano di compiacere il violento, dalla violenza stessa reso leader o almeno soggetto dominante. Rimproverato se n'è andato con le orecchie basse pieno di vergogna che in qualche modo lasciava presagire un possibile riscatto.
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